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PRANZO DI FERRAGOSTO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 dicembre 2008
 
di Gianni di Gregorio, con Gianni di Gregorio, Valeria de Franciscis, Alfonso Santagata, Marina Cacciotti, Maria Cali (Italia, 2008)
 
Esordire da regista a sessant'anni, vincere il premio per la Miglior Opera Prima all'ultima Mostra di Venezia, assumere l'ulteriore responsabilità d'interpretare un ruolo di protagonista che finirà per risultare una delle carte vincenti del film. E non basta: fare di quel ruolo, in quella storia del buon figliolo unico di madre vedova che accetta di accudire per Ferragosto tre vecchiette oltre alla sua mamma, un concentrato stesso del concetto di regia.

Certo, perché le nostre quattro saranno simpaticamente capricciose (da cui l'unanimità di consensi che il film sta riscuotendo in Italia), immediatamente identificabili dagli spettatori per esperienze più o meno vissute; però, com'era da prevedere, bisbetiche e gelose, prima che l'insolita esperienza (e l'abnegazione, supportata da una serie di bianchini del nostro) le renda allegramente solidali. E allora, in quella Trastevere dove non gira un'anima sotto il solleone, fra le quattro mura di quell'angusto appartamento dagli agi decaduti, occorre proprio un regista, un organizzatore creativo, un padrone paziente del teatrino per venire a capo della faccenda.

Sceneggiatore da anni, in particolare de L'IMBALSAMATORE e di GOMORRA di Matteo Garrone (che intelligentemente sembra avere sfruttato le sue fortune attuali producendo il film), Gianni di Gregorio sta quindi strameritando il successo, in parte imprevedibile e certamente rallegrante, del suo piccolo film. Merito di uno sguardo dal quale non sono di certo assenti le emozioni autobiografiche, che vanta la stessa grazia, la leggerezza, la naturalezza di quegli attori non professionisti; di un senso della costruzione (dietro la struttura solo apparentemente rilassata della drammaturgia) che non conosce i tempi morti, ma, in compenso, quelli della concisione (ecco un film, finalmente, che rientra nei mai sufficientemente rimpianti 80 minuti dei tempi d'oro).

Istante prezioso di un realismo dell'intimo del quale si era persa la traccia, PRANZO DI FERRAGOSTO non è, intendiamoci, UMBERTO D. La sensibilità dell'autore è quella dello sceneggiatore abituato a ragionare sui dialoghi, sui rapporti con gli attori (non a caso si pensa a certi Manfredi o Tognazzi), la continuità del montaggio e non tanto sulla curiosità creativa di uno sguardo abituato a guardarsi attorno, a significarsi sui legami con gli ambienti.


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